CATANIA – Il nome della chat era innocente, quasi romantico: “Tana della Luna”. Peccato che quella tana ospitasse l’orrore più indicibile, portato alla luce dal Compartimento di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Catania, che ha svelato un giro di pedopornografia online diffusa attraverso gruppi WhatsApp.
Ad innescare l’indagine la denuncia di una mamma, che si era accorta della presenza di immagini erotiche di minori sul cellulare del figlio. Tra i cinquantuno indagati, infatti, trenta risultano essere minorenni. Ed è un orrore nell’orrore, scoprire che le immagini di bambini seviziati e violati venissero diffuse da altri ragazzini.
Un orrore che in queste ore scandalizza molti. Ma che qualcuno denuncia da anni, sottolineando la pericolosità del web. E’ il caso di don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter, in prima linea nella lotta alla pedofilia nelle sue varie accezioni, compresa la sua diffusione in rete. “E’ come se fosse scoppiata una bomba atomica – dice don Di Noto ai microfono di Hashtag Sicilia – gli effetti a lungo termine delle radiazioni si vedono a distanza di anni. Con la rivoluzione digitale è stato lo stesso. Abbiamo creato nuovi mondi che sono diventati degli inferni, sopratutto per i più piccoli. Quelli che vediamo oggi sono gli effetti a lungo termine di una bomba scoppiata molti anni fa”.
La diffusione capillare delle nuove tecnologie, infatti, ha innescato fenomeni estremamente delicati e controversi. “Il più grave è che i minori non riescono a percepire la sicurezza che devono avere nella vita personale e intima – spiega don Di Noto – Io la chiamo digitalizzazione del corpo. Si diffonde materiale, a volte anche autoprodotto, senza capire le conseguenze reali, sia per sé che per gli altri. Il problema non è soltanto il reato, che è già gravissimo, ma l’oggetto di quel reato. Perché io devo produrre del materiale di nudo, o addirittura con atti sessuali espliciti, e diffonderlo su WhatsApp? Perché si è abbassato il livello della sicurezza e della privacy del proprio corpo”.
“Nella testa dei minori, ma anche degli adulti, si è sviluppato un doppio binario: il cervello reale e il cervello virtuale – prosegue il fondatore dell’Associazione Meter – e questo, nel contesto di una società ipersessualizzata come la nostra, è molto pericoloso”. Il fatto che molti degli indagati fossero minorenni, secondo Don Di Noto, non deve stupire. “Il pedofilo può essere anche molto giovane – sottolinea il sacerdote – un sedicenne può desiderare come oggetto di godimento bambini più piccoli di lui. Il problema è che il web può fornirgli questo materiale. Ora proviamo ad immaginare se questi ragazzini, com’è probabile, abbiano fratellini e sorelline più piccole. Allora l’orrore ci apparirà in tutta la sua crudezza”.
“Questi ragazzi dovranno essere seriamente aiutati, a fare un percorso di recupero personale e sociale – dice ancora il sacerdote – Dobbiamo evitare che si dica che sia stata soltanto una bravata. Questa è la giustificazione che daranno molti genitori. Ma significa non vedere il problema, il diffondersi di una violenza incontrollata sopratutto sulle piattaforme virtuali. Una violenza che sta abbassando il limite della consapevolezza di ciò che si guarda e si diffonde. Perché la violenza si nutre di violenza. E dilaga come mentalità ordinaria anche attraverso i media e i social”.
Dobbiamo aiutare i ragazzi a capire, ma questo è possibile solo incontrandoli, a casa, a scuola, in chiesa”.
Ma anche questo sarà inutile se non ci sarà una responsabilizzazione dei grandi colossi del web. “Alcuni di loro, quando sono nati i loro figli, hanno detto una cosa inquietante: ‘Abbiamo sbagliato’ – ricorda il fondatore di Meter – Ma la presa di coscienza non basta, servono azioni concrete. La tutela della privacy e la lotta alla diffusione di materiale violento e pedopornografico sono questioni clamorosamente sottovalutate. I provider hanno risorse economiche miliardarie – conclude don Di Noto – Vorrei capire quante ne investono sulla prevenzione di questi fenomeni”.